Prove di certificazione linguistica per l'ammissione all'esame di Stato. E' così opportuno con la crisi pandemica ancora in corso? Lo abbiamo chiesto all'Amministrazione regionale.
Data pubblicazione: Feb 01, 2021 2:53:30 PM
Apprendiamo dai colleghi delle scuole secondarie di secondo grado che la Sovrintendenza ha inviato, con un breve preavviso, il calendario delle prove di francese, ai sensi dell’articolo 4 della legge regionale n° 11 del 17 dicembre 2018.
Considerando la crisi pandemica che stiamo ancora vivendo, e le difficoltà che le scuole devono affrontare in termine di organizzazione con gli studenti in presenza al 50%, ci appare alquanto inopportuno questo aggravio di lavoro per le scuole, gli insegnanti e gli studenti, alla luce anche del fatto che, a livello nazionale, si stia valutando di non svolgere le prove INVALSI per gli studenti del quinto anno delle scuole secondarie di secondo grado.
Chiediamo all’Assessore e alla Sovrintendenza di riconsiderare questa scelta e, anche per quest’anno, andare in deroga alla legge in analogia con quanto molto presumibilmente si farà a livello nazionale per gli INVALSI.
Questa richiesta non deriva solo dalle difficoltà organizzative oggettive delle scuole, ma anche, e soprattutto, per andare incontro agli studenti che hanno vissuto e stanno vivendo due anni scolastici che hanno minato, non tanto la loro formazione per la quale gli insegnanti si sono adoperati con professionalità sin dallo scorso marzo, ma la loro percezione del presente e generato l’ansia legata all’incertezza del futuro, rendendoli dei soggetti ancora più fragili.
Tralasciando la questione del valore formativo di questi test linguistici, la FLC ha sempre ritenuto che già in tempi normali l’apprendimento e la valutazione non debbano passare attraverso prove standardizzate, ma che l’apprendimento e la sua valutazione debbano essere interdipendenti e legati fra loro da diversi fattori: relazionali, prima di tutto, disciplinari poi. Il processo di apprendimento, quindi, dovrebbe, soprattutto, instillare nei discenti l’idea che la scuola sia curiosità culturale altamente formativa per la propria crescita individuale e quindi dell’intera cittadinanza, e non mero istituto valutativo.
A maggior ragione quanto detto deve essere valido in un momento storico come questo, in cui gli studenti stanno vivendo una crisi delle proprie certezze, sono ansiosi per l’esame di Stato (che al momento non si sa ancora come si svolgerà) e non hanno alcuna certezza di finire l’anno in aula. Pertanto, ci stupiamo che l’Amministrazione, con un preavviso brevissimo, chieda agli studenti di affrontare un esame linguistico, contribuendo ad aumentare lo stato di incertezza e provocando ulteriori preoccupazioni e stati d’ansia. A che pro? A quale criterio di utilità risponde questa decisione? Inoltre, per parlare in termini didattici, dopo due anni scolastici a singhiozzo con tutte le preoccupazioni di cui sono investiti i diplomandi, quali criteri di attendibilità e validità possono avere queste prove?
Chiediamo, quindi, che le logiche di intervento non siano legate meramente a dettati ideologici o economici (i test qualcuno li ha preparati e questo qualcuno deve essere pagato, probabilmente), ma che la politica dell’istruzione sia guidata da altri ragionamenti più rispondenti ai bisogni, non solo culturali, ma anche sociali del presente e del futuro prossimo.